Monday, 18 August 2014

C'è del marcio a Napoli

Tra il cinque e il ventisette gennaio del 1957, durante una mattina fredda nella Napoli del vomero, quella che per arrivarci devi prendere la funicolare ripida ripida fatta di legno scuro con le porte e il pavimento che tremano, in una casa senza riscaldamento nasce mio zio Riccardo, prematuro, sul tavolo di marmo della cucina di casa. Una volta sistemato il piccolo in una specie di fascia (a mo' di incubatore, s'intende), il medico fa per andarsene. Solo che, a insaputa di tutti, c'era ancora una persona che doveva nascere: mio padre. E così, invece di un solo bimbo prematuro, ce n'erano due. E visto che non si sapeva se sarebbero sopravvissuti o meno, nessuno si è preso la briga di comunicare all'anagrafe il loro arrivo. Finché, ventidue giorni dopo, non è arrivato zio Peppino che ha pagato una gran multa per il ritardo. Così la nascita dei gemelli è stata segnata il 27 gennaio, per comodità, dato che era anche il compleanno della nonna.

Questa è la Napoli che mi racconta mio padre, questa è la Napoli che conosco dalle storie di mia nonna, questa è la Napoli che mi narrava mio zio. La Napoli che vibra di cultura e di poesia, come sempre piena di gente senza una lira in tasca per comperare un pezzo di pane, ma con il cuore pieno dei valori della tradizione. La Napoli chiassosa e urlante, quella in cui già allora si buttavano le lavatrici giù dai balconi la notte di capodanno. La Napoli in cui crescevi per le strade giocando a pallone con i bambini del quartiere. La Napoli fatta di musicisti virtuosi che suonavano per le strade e che aprivano le loro case agli allievi. La Napoli in cui il tempo di un caffè può durare quanto il Parsifal di Wagner, perché fare o' cuppetiello perfetto richiede il suo tempo.

http://www.youtube.com/watch?v=OX7XhLpW7Tc

Questa è la Napoli che ho imparato ad amare da piccola, attraverso il teatro, attraverso la canzoni suonate sul mandolino da mio padre per addormentarmi, attraverso il cinema e attraverso le mie estati partenopee. Probabilmente ero piccola e non avevo ancora modo di comprendere tutto ciò che c'era e c'è di marcio nella Napoli che ho sempre nel cuore.




Non mi soffermo neanche una riga per descrivervi le scene di inciviltà, noncuranza per la propria terra e volgarità che purtroppo ho visto durante le mie ultime permanenze a Napoli. Forse è sempre stata così. Oppure no, magari è diventata così in questi anni di povertà, di fame, di camorra, di morti innocenti, di violenza, di passività, di perdita di identità, di ragazzini che muoiono perché gli cade una tegola in testa sotto alla galleria di Umberto I. Non lo so e di certo non mi azzardo a terrorizzare in merito, vorrei solo brevemente accennare a come "noi" napoletani (mi ci metto in mezzo, perché alla fine sono un po' napoletana anche io) ci prendiamo in giro e ci ridicolizziamo:

http://www.youtube.com/watch?v=5FFSPb230d0

Agli occhi di chi viene da fuori, Napoli affascina e spaventa, ma soprattutto infastidisce.  Chi viene da fuori non ha accesso ai tesori della vera Napoli, quella che vedi solo se cammini per le stradine della sanità con un napoletano che ti indica la pittoresca realtà di questa complessa città. Vista con gli occhi di chi viene da fuori, purtroppo è impossibile non fare caso alla presa in giro del gioco delle tre carte, agli scippatori, alla munnezza fetente che è in ogni angolo, ai truzzi scostumati con le t-shirt troppo strette e che sputano a terra. Tutto ciò lo vedi anche (o forse proprio) se pernotti all'hotel Excelsior che da su Castel dell'Ovo.

IMG_0088Rimane il fatto che Napoli è una favola. Napoli è una realtà a sé stante che puoi comprendere solo con anni di osservazione quasi antropologica, ed è molto facile, troppo facile, ridurla a ciò che puoi vedere facendo un salto in piazza Plebiscito per bere un caffè da Gambrinus. Napoli va vissuta, Napoli richiede che le dedichi del tempo di non-giudizio, Napoli richiede che guardi oltre il livello di fetenza e di camorra e di schifo. Napoli ti chiede di fermarti e dare un'occhiata alla gente che vive nei bassi, di notare la signora che ti vende le uova incartate nella carta di giornale uno per uno, di passeggiare per i ripidi vicoli del centro per scovare le librerie antiche e i bottegai appassionati che siedono davanti alla porta del loro negozio su sedie di plastica da bar anni '80.

Napoli ti chiede di non guardarla con arroganza. Di prenderti il tempo per imparare a guardare oltre il primo strato. Napoli ti chiede di interrogarti sulla tua inciviltà e sui tuoi lussi. Napoli è una città in cui puoi fare la spesa con due spiccioli in tasca, e insieme ai friarielli e i pomodori ti porti a casa anche il calore e la spontaneità di chi te li vende. Napoli dilata il tempo ed esige che metti da parte i tuo ritmi frenetici per poterla vedere davvero. Napoli, se riesci a guardarla con gli occhi di un bambino, è anche la patria dell'arte dell'arrangiarsi e del problem solving creativo. Napoli è un luogo in cui nonostante tutto la gente sogna e si azzarda. Un luogo in cui la gente è spinta ad essere creativa perché è l'unico modo in cui si può sopravvivere. Napoli è un luogo in cui puoi creare una compagnia di teatro o scrivere un'opera lirica e trovare un'orchestra e un direttore.

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