Ero convinta che quel bambino fosse molto povero e così un giorno gli ho portato un astuccio nuovo con delle matite che avevo recuperato e a cui avevo fatto la punta una per una. Quando gliel'ho dato, lui manco ha detto grazie e il mio astuccio non l'ho mai più rivisto. E lui non mi ha più rivolto la parola.

Oggi so che quello lì era il figlio di uno dei più potenti membri della SVP altoatesina. Una delle famiglie della bolzano bene e, capiamoci, la bolzano bene sta davvero bene, direi anche meglio della bolobene con i figli di papà che guidano le minicar, se l'avete presente.
Insomma quella lì è stata la prima volta che mi sono chiesta se la mia fosse una famiglia ricca, visto che avevo l'astuccio e le matite e la sbrodolina nuova e la fabbrica dei mostri e la tv per vedere le sailor moon. Per i miei occhi da bambina, noi eravamo ricchi.
Agli occhi dei miei genitori invece avevamo appena dovuto chiudere il negozio della mamma, avevamo da ripagare i debiti delle spese mediche di mio zio appena morto ed avevamo appena cambiato casa perché l'affitto per noi era diventato impagabile. La spesa la facevamo con le monetine da 100 lire che erano rimaste nel barattolo di vetro vicino alla porta, quello che i maschi usano per svuotare le tasche appena varcano la soglia di casa. Per arrivare a fine mese la mamma lavorava alle bancarelle del mercato tutti i giorni, dalla mattina alla sera, al freddo bolzanino di dicembre e con una bambina appena nata a casa da allattare. Quando facevo cadere a terra il barattolo di marmellata comperato con gli ultimi spicci la mamma faceva finta di niente, quando in realtà probabilmente stava già facendo i conti dei giorni che saremmo potuti andare avanti senza fare la spesa.

Ho iniziato a rendermi conto di questa storia solo verso la fine delle medie, e lì ho anche iniziato a rivalutare la questione dell'astuccio da poveretti. Le mie amiche vivevano in case di proprietà con i soffitti alti e le tende di lino, avevano una stanza tutta per loro. Una aveva persino le bambole di porcellana, e noi le usavamo per giocarci a dottore. Tanto, che ne sapevamo noi che il massaggio cardiaco fatto sbattendo la testa della bambola contro il muro costava trecentomila lire ai suoi genitori a ogni giro.
Questa premessa per dire che mi sta sul cazzo la gente che dice che non ha un soldo e poi becco con lo smartphone nuovo in mano mentre fa il giro del mondo. Certo, magari per una persona che da piccola giocava a rompere teste di bambole di porcellana, il concetto di "essere in economia" ha un significato diverso. Posso sforzarmi per cercare di capire, ma quando mi vieni a dire che non c'hai i soldi per uscire di casa e allora io ti invito (facendo i salti mortali per arrivare a fine mese senza vendere la bici o la macchina fotografica per raccattare due lire) e poi vengo a sapere che c'hai la casa di proprietà e la macchina figa e il motorino e le vacanze al mare e la settimana bianca e il passeggino stokke per i tuoi figli … io divento blu.
Per me l'idea di essere in crisi economica non è nuova. E non mi manda in paranoia. Non mi succede come alla cliente del parrucchiere che va in panico perché è in ritardo di venti minuti. Oppure a quella che al bar mi chiede il macchiatone in tazza grande per non pagare un cappuccino, e lo fa indossando il cappotto peuterey dei miei stivali. Oppure quella che non riesce a fare la spesa perché s'è indebitata col mutuo per una casa di 300 metri, per la macchina nuova, per le vacanze a Tokio e per il nuovo modello di smartphone appena uscito.
C'è una differenza tra "sto cercando di risparmiare" e "cazzo non so come fare la spesa e quindi questa settimana mangio riso e pasta". C'è una differenza tra "vorrei il cappotto nuovo quest'anno perché il mio è passato di moda" e "cazzo sono andata all'ovviesse che mi hanno detto che ci sono i jeans a 19 euro ma non era vero, e quindi continuo a girare coi pantaloni bucati". E c'è una bella differenza anche tra "vorrei comperare il divano nuovo che i gatti me l'hanno graffiato un po' " e "cazzo anche quest'anno non riesco a cambiare il materasso del divano letto su cui dormo in soggiorno da vent'anni e continuerò a spaccarmi la schiena perché quando mi giro nel sonno sento le assi di legno sotto il culo".
Questo per dire che io mi sento circondata da gente che dice di sentire la crisi, di essere in grandi difficoltà economiche, che piange perché non trova lavoro ma che allo stesso tempo si permette di RIFIUTARE UNA PROPOSTA DI LAVORO (!!!) in attesa del lavoro per cui ha studiato. Per me questa gente non ha l'affitto da pagare a fine mese. Per me questa gente non sa cosa significa dover scegliere tra comprarsi un pezzo di formaggio o tre omogeneizzati per il bimbo, e non poter comprare entrambe le cose. Non sa cosa significa fare un trasloco con i mezzi pubblici perché la macchina non ce l'hai e la ditta non te la puoi permettere.

Per me questa gente si perde in un bicchier d'acqua. Non sanno cosa significa vivere con 40 euri in tasca per tre settimane e avere il sorriso stampato sul viso perché comunque pane e latte sono in tavola tutti i giorni, i vestiti ce li abbiamo e li abbiamo scelti noi e ci stanno anche bene, e perché, cosa più importante al mondo, stiamo facendo la vita che abbiamo scelto di fare. A cosa mi serve l'aifon nuovo che legge le impronte digitali quando tutti i giorni mi sveglio accanto a una persona che non desidero avere nel mio letto? Cosa me ne faccio della bmw x5 se la devo usare per andare tutti i giorni a fare un lavoro che mi fa morire dentro? Cosa me ne faccio della casa su tre piani con giardino se al mattino mi sveglio e mi rendo conto che quella vita, quella famiglia, quel marito, quel lavoro, quel dannato soprammobile all'uncinetto mi ricordano tutti i giorni che non sono felice?

Non sanno cosa significa poter essere felici per il semplice motivo di poter bere il caffè profumato appena fatto e sedersi sul balcone in mezzo alle piante che hai fatto crescere te. Non hanno minimamente presente l'idea di mettere da parte la pila di bollette da pagare per dieci minuti e sedersi al sole per riscaldarsi le ossa con il proprio cane ed essere grati per questi dieci minuti di felicità e libertà.
Il macchiatone è roba veneta, una genialata tra il macchiato e il cappuccino!! Per noi veneti tristi e in continua vena autolesionista è una gran cosa... Come lo spritz e il tramezzino, che costa un euro e cinquanta l'uno e uno e cinquanta l'altro, almeno in veneto, e ci fai una cena, non ce lo toccare! a volte è come scaldarsi le ossa al sole...che nella nebbia il sole tende a latitare...
ReplyDeletedavvero è una cosa veneta? Non lo sapevo! vabbè.. al prossimo macchiatone che mi toccherà fare proverò a sforzarmi :-)
ReplyDeleteLo spritz qui a Bologna invece costa in media 4 euro con due patatine..
bello bello bello questo post <3
ReplyDelete<3
ReplyDeleteParole sante!!! è bello condividere certi pensieri e sentirsi meno soli!
ReplyDeletegrazie <3 io l'ho scritto dopo aver passato un bellissimo pranzo tra amici passato a raccontarci storie si sopravvivenza alla crisi..
ReplyDeleteMi permetto di aggiungere un'osservazione: sono d'accordo sulla questione di interpretare la crisi in maniera diversa. La crisi vera è quando non riesci a comprare il pane, non il trentesimo paio di scarpe e il lavoro non si rifiuta di certo, qualunque esso sia. Chi è disperato NON PUO scegliere. E' un fatto però che lavoro non ce n'è in giro, di qualunque genere si tratti e che sono molti gli studenti che hanno fatto grossi sacrifici lavorando durante l'università. E' giusto allora finire a pulire le scale con una/due lauree quando la vecchia generazione ha stipendi stellari senza avere nemmeno le competenze adatte?
ReplyDeleteSono assolutamente d'accordo con te Emanuela. Anche io lavoro per mantenermi gli studi e a volte penso a come sarebbe più facile se potessi studiare e basta. E sto con una "ragazza" quarantenne con due dottorati che fa i caffè insieme a me in un bar per pagarsi l'affitto.. ho davvero ben presente l'idea. Mi riferivo a persone in situazioni ben diverse nel mio post... ovvio che anche io (e mia moglie) vorremmo poter rinunciare a fare dei lavori che, per carità, hanno il massimo della dignità e sono pagati giustamente, ma semplicemente non rispecchiano la nostra formazione. A noi resta pensare e sognare che nel tempo libero dal lavoro "per pagare l'affitto" possiamo dedicarci a quello che ci interessa e costruirci un lavoro parallelo. I sabato mattina passati in archiginnasio a studiare, rinunciare alle vacanze per fare un corso di formazione... lo so bene che è un periodo di merda... ma non possiamo permettere che ciò ci faccia perdere la fiducia o ci tolga il piacere che approfondire le nostre passioni.
ReplyDeletenon sapevo neanche io
ReplyDeleteCredo che il segreto stia nel COME i tuoi genitori ti presentino la situazione, come la gestiscano. Più tardi ti accorgi di vivere in ristrettezze, migliore sarà stato il loro lavoro. Ho vissuto per anni in una situazione tutt'altro che agiata, e solo negli anni dell'università mi sono reso conto del fatto che non sia normale avere il linoleum al posto del pavimento (oltre a tante altre cose).
ReplyDeleteVedo che a rabbia verso il mondo sei messa bene pure tu!!! (petite provocation...).
linoleum tutta la vita, che si pulisce meglio! Scherzi a parte, di rabbia verso il mondo ne ho da vendere è il mio analista sta diventando ricco.
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